Scusate se la storia di oggi arriva tardi, ma spero che il denso e avvolgente profumo della fresia vi porti alla mente la potenza dell'AMICIZIA DURATURA.
AVA E MIA
Ava Madison Cooper e Mia Ivory Simmons erano nate entrambe durante l’afosa estate del 1937 a Sandy Springs, Georgia. Figlia unica, Ava sarebbe divenuta una rosea e robusta bambina dai capelli neri, agile e vivace come uno scoiattolo; Mia, invece, con la sua ricciuta chioma color miele avrebbe guardato il mondo timida attraverso un paio di profondi occhi azzurri. Nessuna delle due seppe dell’esistenza dell’altra fino al giorno di metà settembre del 1943 in cui si ritrovarono di banco insieme in prima elementare. La scintilla dell’amicizia non scoccò subito tra loro. Ava sopportava controvoglia la taciturna compagna e dopo i primi inutili tentativi per attaccare discorso aveva preso ad ignorarla. Mia, dal canto suo, era intimidita dalla vitalità che sprizzava dai pori della vicina di banco e la osservava di nascosto.
Tutto cambiò il giorno in cui, lungo la via di casa, Mia sentì un soffocato singhiozzare provenire da un cespuglio. Incuriosita si avvicinò cauta e scostò leggermente i rami per guardare chi ci si fosse infilato dentro. Fu con enorme stupore che scoprì che la bambina piagnucolante, con i capelli arruffati e le ginocchia sbucciate era proprio colei che tutti i giorni prendeva posto sulla sedia accanto la sua durante le ore di lezione. Tra le due non ci fu bisogno di parole. Bastò la mano bianco latte di Mia tesa a prestare aiuto ad Ava per suggellare la loro amicizia.
Le due bambine divennero inseparabili; Ava coinvolgeva Mia in giochi eccitanti come arrampicarsi sugli alberi, rotolarsi nell’erba o andare a nuotare nel laghetto dello zio Jonas con le anatre che starnazzavano spaventate; Mia, invece, le spiegava i calcoli di matematica, cercava di insegnarle il francese che era la lingua di sua madre e, inoltre, le dava lezioni di pianoforte. Insieme si completavano: l’esuberanza di Ava fluiva in Mia come un liquido colorato ed elettrizzante, mentre la sua docile dolcezza mitigava gli spigoli vivi che delineavano il carattere dell’amica.
L’infanzia fuggì via allegra lasciando il posto ad una giovinezza che esplose rigogliosa. Era il 1956, la scuola era finita da un anno e la radio gracchiava le note romantiche di I want you, I need you, I love you. Ava voleva che anche Mia uscisse dopo cena, che si divertisse un po’ con gli amici, con i ragazzi. Aveva preso a frequentare il quarterback della squadra di football del college e ogni fine settimana andava a bere i frullati da Denny’s o a vedere film romantici al drive in. Ava non riusciva a capire come mai Mia si ostinasse a volersi rintanare in casa per aspettare di uscire la sera con quel noioso di Chester Filligan, il ragazzo secchione di quando andavano alle superiori.
Sebbene la loro amicizia non era venuta meno, una punta di gelosia bruciava sul cuore di Ava come sale su una ferita. Ma quando ormai credeva che Chester Filligan le avrebbe portato via l’amica per sempre, la vita
decise di prendere uno strano percorso.
Una telefonata di Mia in lacrime l’avvertì che l’amica era stata lasciata e, cosa più importante, era incinta. Filligan si era dileguato affermando a gran voce che il disgustoso marmocchio che sarebbe nato da quella gravidanza non era il suo, ma frutto di un’unione impura, un gesto che lui da bravo evangelico non avrebbe mai commesso. E così Mia in un attimo si era ritrovata sola, in attesa di un figlio e senza una casa, dal momento che i suoi genitori non ne volevano sapere di crescere un bastardo, come lo chiamavano.
Ma c’era Ava con lei. Trovare qualcuno disposto ad affittar loro un piccolo appartamento non fu facile, ma il gestore della drogheria dove Ava aveva preso a lavorare come commessa, impietosito, le accontentò. Mia si sentiva terribilmente in colpa per il danno che aveva arrecato anche alla vita di Ava; nonostante le proteste del padre e i pianti isterici della madre, l’amica aveva abbandonato il lavoro da parrucchiera trovato presso la signora McNell pur di venire in suo aiuto e ora si trovava a sgobbare dietro il bancone del negozio di August Brown. In tutto questo, però, Ava era felice, felice di essere la persona su cui Mia potesse contare.
I mesi scorsero veloci e nella primavera del 1957 nacque Abigail Eleanor Simmons, una morbida bambina con mani grassocce e un civettuolo ricciolo biondo a guarnirgli la fronte. Era di una bellezza raggiante e Ava e Mia la osservavano rapite. Sembrava un miracolo.
Abigail portò la gioia nel piccolo appartamento e con lei le due amiche impararono quanto profondo potesse essere il senso di responsabilità. Mia prese a fare confetture di ogni tipo, anche quelle più strane, da poter vendere nella drogheria sotto casa e la sera prima di crollare a letto lavava, stirava e rammendava la biancheria delle famiglie del vicinato. Non era molto, ma per una ragazza madre era già tanto avere la possibilità di racimolare qualche soldo; Ava aveva trovato impiego in una boutique nel centro della città e grazie ai clienti facoltosi che riceveva ogni giorni riusciva ad ottenere un buono stipendio.
La vita proseguiva serena e Abigail cresceva sana e forte, tuttavia Mia era agitata da un pensiero irrequieto che le toglieva il sonno la notte. Non sopportava l’idea che Ava spendesse tutta la sua prorompente giovinezza per rattoppare uno sbaglio che era stata solo lei a commettere. Ava doveva farsi una vita tutta sua, innamorarsi e magari avere dei figli.
Fu con questo pensiero in testa che Mia decise che era giunto il momento in cui dovesse essere lei a donare qualcosa all’amica, dopo aver passato tutti quegli anni a ricevere cure e affetto.
Sapeva da tempo che Ava aveva una cotta, ricambiata, per Martin, il ragazzo che dal lunedì al venerdì consegnava loro la posta. Era alto e snello, capelli biondi tagliati corti e occhi color cioccolato con una spruzzata di lentiggini sul naso. Aveva ventisei anni, tre più di loro, e non era fidanzato, cosa rara per un ragazzo della sua età.
Le occorsero vari giorni per ideare il piano perfetto e far sì che i due si incontrassero, ma quando finalmente
l’idea si accese luminosa nella mente di Mia niente poté fermarla.
Con una sfrontatezza che non credeva di possedere e Abigail in braccio si diresse all’ufficio postale dove Martin lavorava e in modo sicuro mise tra le mani del ragazzo due biglietti per lo spettacolo della sera che veniva proiettato al cinema Odeon. Insieme ai biglietti, inoltre, c’era una lettera dove il nome di Ava campeggiava sul foglio bianco insieme all’indirizzo della boutique in cui faceva la commessa. Martin la guardò con vivacità, i suoi occhi volevano la conferma di ciò che, sognate, aveva ipotizzato.
Mia arrossì per l’intensità di quello sguardo e annuì commossa.
Poi, quella sera, quando Ava tornò a casa dopo l’appuntamento inaspettato, le due amiche si ritrovarono nel piccolo salottino. Ava era rossa in volto per l’emozione di quella serata e si sedette sul divano a fiori quasi le gambe le fossero diventate molli. Mia le sorrise e guardando l’amica tese la mano a stringere quella di Ava come aveva fatto un pomeriggio di tanti anni prima. In quella stretta c’era tutta la gratitudine, tutto l’affetto, tutta la loro amicizia.
a dispetto di quello che tu hai pensato postando questa storia, bé, mi ha anche commossa! (ho un debole per le storie sull'amicizia!)
RispondiEliminaBrava!
rileggendola avevo paura che il finale fosse arrivato in modo troppo brusco e quindi sembrasse innaturale. Sono contenta, invece, che la storia ti sia arrivata!
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