venerdì 30 dicembre 2011

Le Café des écrivants


Il momento è arrivato, finalmente Le Café des écrivants si trasforma nel mio angolo di scrittura personale. Come vi avevo detto ieri, in questo spazio verranno raccolti i miei racconti e le storie che avrò il piacere di condividere con voi.

Per inaugurare il nuovo indirizzo preso dalla rubrica vi presento un racconto che sarà diviso in più puntate (tranquilli :D non diventa un romanzo strada facendo). Cercherò di postare le varie puntate in cui il racconto verrà diviso senza far passare troppo tempo l'una dall'altra, diciamo massimo una settimana (salvo imprevisti). So che in molti non amano le cose spezzettate, ma perdonatemi la storia non poteva essere accorciata altrimenti.

Ora vi lascio alla lettura, sperando sia di vostro gradimento.


Polvere di ferro


   La carrozza si arrestò a una decina di metri dalla bottega del fabbro dopo aver sbandato sulla strada sconnessa per circa sette chilometri. Uno dei quattro cavalli di Sua Signoria si era azzoppato e il cocchiere aveva cercato di rimediare al danno conducendo il veicolo dal più vicino maniscalco. Il povero signor Quinny, seduto a cassetta, aveva pregato il buon Dio che il pranzo dai Lansbury fosse stato piacevole, molto piacevole, e il conte mezzo assopito dal troppo mangiar e dalle abbondanti annaffiate di vino e di Porto non si fosse reso conto quasi di nulla. Il carattere poco mansueto di Lord Primmington era famoso in tutta la contea e la sua propensione a prendersela con la servitù era costata al signor Quinny numerose lavate di capo, per usare un eufemismo.
   La fortuna lo aveva assistito facendo azzoppare il cavallo non lontanissimo da Shirleton, dove risiedeva la bottega del rude quanto capace maniscalco Freddie Occhiopinto Litton. Il suo soprannome se l’era guadagnato da ragazzo, quando non c’era sera che non si azzuffava nella locanda del paese, pestandosi con gli altri bulletti e riportando quasi sempre un bell’occhio nero violaceo, un occhiopinto quindi, a testimonianza della battaglia avuta. Con il tempo Freddie aveva stemperato gli spiriti, ma il soprannome era rimasto e come se fosse un marchio di famiglia, l’irrequietezza era passata a suo figlio Russell.
  Il giovane sedeva sui gradini di legno che conducevano alla porta d’ingresso della bottega. Aveva una camicia di flanella rossa e verde le cui maniche gli arrivavano a malapena ai gomiti e nonostante l’aria frizzante aveva la fronte imperlata di sudore. Era tutto intento a raschiare con un coltellino la melma che si era appiccicata sul fondo degli stivali. Erano stati giorni di grandi piogge, che avrebbero preparato il terreno alla primavera ormai vicina, la rinascita che i contadini di Shirleton aspettavano come un miracolo dopo il lungo inverno di magra.
   Una manina paffuta tentò di scostare la tenda di pizzo macramè finemente lavorata che copriva la finestra della carrozza. Qualcuno glielo impedì con un secco movimento della mano, una mano guantata e sottile di nobildonna. Seguì un soffocato tramestio di voci e l’immancabile lamentela del bambino curioso.
   I movimenti e i suoni provenienti dalla carrozza attirarono l’attenzione di Russell che sollevò la testa quanto bastava a scorgere la finestra del veicolo da sotto la frangia di capelli biondi. Sapeva che osservare in modo sfrontato non era buona educazione, glielo ripeteva sempre sua madre prima di morire di pertosse e accompagnava l’avvertimento con dolorosi scapaccioni.
   «Vieni qua buono a nulla!» tuonò la voce baritonale di Freddie Occhiopinto. Russell schizzò in piedi neanche fosse uno di quei giocattoli a molla e a passo lesto si avvicinò al padre. Il cavallo di Sua Signoria doveva essere di nuovo imbrigliato e attaccato al tiro a quattro e quello era compito suo; contrariamente a come si comportava con le persone, Russell con i cavalli sembrava avere il tocco magico. Accarezzò dolcemente il muso della bestia e lo condusse al suo posto senza che questo scalciasse o nitrisse indispettito. Cosa sussurrasse all’orecchio di quelle bestie il padre non avrebbe saputo dirlo, l’unica cosa che sapeva e che gli importava era che con i cavalli Russell ci sapeva fare e per essere un buon maniscalco questo era tutto.
   Il ragazzo amava la squisita eleganza dei cavalli, ma quella fiera bellezza gli ricordava quanto era misera la sua condizione. Relegato a vivere con un padre arcigno e dispotico, in un paesino dove tutti sapevano tutto, Russell sognava di conoscere qualcosa al di là degli steccati e dei recinti per pecore di Shirleton. Gli sarebbe piaciuto diventare un politico oppure un commerciante di cavalli, ma c’era un ostacolo da sormontare: Russell era analfabeta, aveva imparato a malapena a scrivere il suo nome. Tempo o soldi per la scuola non c’erano e ancora gli rimbombavano in mente le accuse del padre quando lo aveva scoperto a tracciare segni con un legnetto carbonizzato sulla carta sudicia rubata al macellaio. Freddie era diventato paonazzo in volto tanta era la rabbia di vedere il figlio in quella che, a suo parere, era un’insulsa occupazione. «Non ci si sfama con le parole, non ti riempiono la pancia. È con il ferro che mangi, mettitelo bene in testa, razza di screanzato!» gli aveva urlato e strappatogli il foglio di mano glielo aveva infilato a forza in bocca. Da quel giorno Russell non aveva provato più a scrivere.
   Una volta agganciato il cavallo, il tiro a quattro era di nuovo pronto per avviarsi sulla strada verso Primmington Manor. Il signor Quinny salì a cassetta e impugnate briglie e frustino incitò sonoramente i cavalli. Le bestie iniziarono subito a muoversi trainando la carrozza verso destra, mentre il signor Quinny cercava di evitare le grandi pozzanghere di acqua sporca che si erano formate sul piazzale antistante la bottega. Se una ruota fosse finita dentro una di quelle pozzanghere, l’acqua sarebbe schizzata fino a bagnare i finestrini della carrozza, indispettendo non poco Sua Signoria.
   In piedi in mezzo allo spiazzo, Russell osservava con una certa invidia la carrozza laccata di nero lucente. Il lusso che emanava era abbagliante, quasi fastidioso. Si guardò gli stivali logori e ancora sporchi di fango, la sua vita non aveva nemmeno una scintilla del bagliore che aveva visto riflesso sulla carrozza. Amareggiato tornò sui suoi passi, si sedette di nuovo sui gradini e riprese a scrostare gli stivali. Cazzo, pensò, almeno quel fottuto bastardo di Jimmy Cox riesce a sgraffignare un po’ di tabacco facendo gli occhi dolci a quella mezza scopa della figlia del droghiere. Non riuscirei mai a farla fina a quella brutta strega, dovessi morire di fame.
   La carrozza avanzava lentamente per arrecare meno fastidio possibile a coloro che stavano nell’abitacolo. L’ondoso oscillare della vettura aveva trascinato nuovamente Lord Primmington nel sonno e ora ronfava in modo poco signorile appoggiando la testa scompostamente. Il piccolo Arthur, infagottato nel lungo cappotto marrone, aveva preso a cincischiare il berretto di lana che aveva indossato fino a quel momento ormai deciso a sconfiggere la noia con ogni mezzo. L’unica seduta con la schiena dritta come un fuso era Annabelle, intenta a lisciare le invisibili pieghe della coperta tartan che aveva appoggiata sopra le gambe. Cercava di mantenere il contegno da giovane nobile qual era, eppure le dita dentro i guanti di pelle sembravano formicolare. Sebbene prima aveva bloccato la mano di Arthur, ora non riuscì a fermare la sua e con un movimento rapido scostò la tenda che impediva la visuale dalla finestrella. Si erano allontanati dalla bottega del maniscalco, ma non tanto da impedirle di scorgere in lontananza il giovane che aveva ferrato il cavallo. Non riusciva a vederne bene i lineamenti, le uniche cose che risultavano chiare anche da quella distanza erano i capelli biondi scompigliati e la magrezza del corpo seppur nascosta sotto la camicia lisa. Tutto sommato non sembrava di aspetto sgradevole, magari un po’ rozzo, ma ci si poteva lavorare.
   Se per salvare Primmington Manor suo padre il Lord aveva deciso di darla in sposa al vecchio bavoso Lord Kingsley, famoso per i suoi dubbi gusti ma dalle grandi ricchezze, Annabelle aveva deciso di ripagare lo sgarbo con la stessa moneta. Una tresca con un giovane del posto, lo scandalo che ne poteva seguire se fosse stato scoperto avrebbe spinto suo padre a mostrarsi più accondiscendente e a cercare un altro partito più appetibile. Al giovane del posto sarebbe fruttata una certa sommetta da spendere all’osteria del paese o magari in qualche bordello in città perché di certo non avrebbe avuto il corpo di Annabelle, non l’avrebbe sfiorata nemmeno con la punta di quelle luride dita.
   «Sorella, che fai?» la voce di Arthur la distolse dai suoi macchinosi progetti.
  «Nulla» rispose secca Annabelle.
  «Tu stavi sbirciando, ammettilo! Eri curiosa di vedere il figlio del maniscalco» proseguì il piccolo.   
 «Anche se fosse, non sono affari tuoi, piccola peste» rimbrottò la giovane mentre un sorriso sornione le si allargava sulle labbra.
   Il gioco era appena iniziato.



Fine prima parte

2 commenti:

  1. Quanto ti invidio! A me non è mai riuscito scrivere storie brevi ç_ç

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  2. Be' questa l'ho dovuta spezzettare in più puntate, ma comunque resta sempre un racconto, lungo, ma un racconto. Credo che con quattro massimo cinque puntate è finita.

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