martedì 25 ottobre 2011

Recensione: "Chi non muore" di Gianluca Morozzi

Gianluca Morozzi presenta



La trama:

Angela detta Angie è una studentessa fuorisede a Bologna, molto carina, aspirante cantante, anche se troppo pigra per impegnarsi seriamente nella musica. Divide un appartamentino con quattro odiate coinquiline, è convinta che il suo migliore amico Lucio sia gay, e ha messo in crisi la propria band intrecciando relazioni sia col batterista che con il chitarrista. Si innamora degli uomini in cinque secondi, ha un talento insospettabile per la meccanica, ha curiosità lesbiche mai verificate, ed è stata la bambina-immagine di una famosa merendina. La sua vita cambia il giorno in cui, in sala prove, incontra Mizar: tastierista bellissimo, triste e solitario, di cui, come sua abitudine, si innamora in cinque secondi. Indagando su Mizar, viene a conoscenza di una storia misteriosa e irrisolta: Mizar è l'unico superstite di una band i cui membri, molti anni prima, sono stati uccisi uno dopo l'altro, nella stessa notte, in tre punti diversi della città. Mizar si è salvato (e allo stesso tempo ha un alibi di ferro) perché stava suonando a quattrocento chilometri da Bologna, Angie e Lucio iniziano a indagare su questa torbida vicenda, mentre Angie cerca di conoscere meglio il fascinoso Mizar, che viene marcato stretto dalla bellissima, ambigua e seduttiva Valentina. Mizar, che ha un segreto terribile, legato a un pomeriggio d'estate di molti anni prima, in una discarica in mezzo alle campagne. Che vive isolato, in fondo a un sentiero che porta a due case gemelle...


Un romanzo che sa essere divertente, oscuro e al tempo stesso fastidiosamente ridondante, come la sua protagonista Angie. In un turbinio di parole, immagini e situazioni, Morozzi crea una nuova leggenda metropolitana grazie a dei protagonisti gustosamente sopra le righe, talvolta eccessivi sullo sfondo di una Bologna decisamente underground. 



La mia recensione


Chi non muore di Gianluca Morozzi ci trascina in una Bologna decisamente undergroud conducendoci tra le viuzze della città seguendo il tortuoso percorso di Angie, giovane ragazza originaria dell’Abruzzo e approdata nel capoluogo dell’Emilia-Romagna per studiare all’Alma Mater e per fare la rocker a tempo perso.

Le parole underground e rocker sono forse gli aggettivi che meglio qualificano questo romanzo, che altro non è se non un lunghissimo monologo della protagonista che ci rende partecipi di tutto ciò che le passa in testa, complice una scrittura che procede a scatti e che cerca di simulare il groviglio mentale della giovane ventiduenne.

Angie è una tipa che non sta ferma un attimo, che non sa cosa vuole dalla vita, ma che se si fissa su una cosa fa di tutto per realizzarla. Vuole fare la cantante rock, ma non gli riesce un granché bene, vuole essere una super famme fatale, ma poi cade nella trappola di Valentina che le arti del mestiere le conosce meglio di lei, vuole essere amata da Mizar, ma il ragazzo è la persona più complessa schiva e disorientata che lei potesse mai trovare.

Nella mente di Angie è come andare sulle montagne russe: partenze a razzo, brusche frenate, curve improvvise. A leggere queste pagine si può essere colti da mal di mare tanti sono i cambiamenti che il lettore subisce nello scorrere la storia.

E come ogni storia metropolitana che si rispetti, anche Chi non muore hai i suoi misteri, le sue leggende. Mizar, il ragazzo dal talento incommensurabile per il piano che Angie definisce il sosia triste di Eddie Vedder, faceva parte di un gruppo i cui componenti furono tutti uccisi in circostanze misteriose nel lontano 2003.

Gli ingredienti per una storia oscura e fumosa ci sono tutti e Bologna si presta molto bene come ambientazione per queste atmosfere dark. Morozzi ci descrive la città che si accende al tramonto, quella dei locali sperduti nelle vie e delle band che si ritrovano a provare nello stesso locale.
Angie fa parte di quel mondo, o meglio ne vuol far parte disperatamente. Il suo atteggiamento è quello della star egocentrica, che vuole sempre i riflettori puntati addosso ed è talmente convinta di sé che alla fine ci fa credere anche gli altri.
 
Ma il suo sentirsi super figa, estremamente capace di gestire ogni situazione, di fare sesso con chiunque lei voglia e quando lei voglia non è nient’altro che la maschera per proteggersi dalla sua debolezza, dalle sue paure e insicurezze.

L’atteggiamento molto “rock” di snobbare le coinquiline e di chiamarle con i soprannomi più pungenti per rimarcare i loro difetti e le loro manie (abbiamo Acido/acida, Candeggina, Papagirl e La cosa), il ripetere fino allo sfinimento che il suo amico Lucio è gay (e molto probabilmente è così) e che lei è assolutamente etero (su questo c’è qualche dubbio, magari non lesbica, ma bisex), non sono altro che le sue difese di cartone che non reggono all’urto dell’incontro con i fratelli Valentina e Mizar.

L’omicidio in cui è invischiato il suo nuovo amore è qualcosa di veramente buio e inquietante, ma mentre tutti scapperebbero a gambe levate, Angie resta lì e cerca di scavare più a fondo senza sapere dove quelle ricerche possono portarla.

La storia procede a passo spedito, di sicuro con una protagonista del genere non ci si annoia anche se a volte le sue esagerazioni diventano eccessive. Morozzi infarcisce il testo di mille riferimenti e conduce l’azione in maniera tale da ricordare il modus operandi di Tarantino, non per quanto riguarda lo splatter ma per il suo citazionismo, dando al romanzo una qualche sfumatura hard boiled.
La Valentina del romanzo assomiglia alla Valentina di Crepax, Mizar, come già detto, ricorda Eddie Vedder, Lucio è una fonte inestinguibile di riferimenti a libri, gruppi musicali e personaggi conosciuti. Tutto ciò riesce a rendere più reale ciò che circonda i personaggi di questa storia, ma a volte non lascia al lettore il tempo di unire i puntini e fare da solo i propri paragoni. Solo un riferimento non viene citato, ma chi ha un po’ di dimestichezza con i film noir forse avrà riconosciuto. L’inizio della storia con la protagonista moribonda che poi ci racconta tutto quello che è accaduto fino ad arrivare al punto dove il romanzo è iniziato, ricorda lo schema narrativo de La fiamma del peccato (Double Indemnity) di Billy Wilder, anche se poi la storia è completamente diversa.

E come in ogni leggenda metropolitana che si rispetti spunta anche l’elemento incredibile, inspiegabile che rende la storia raccontata meno reale e più vicina alla dimensione onirica, più precisamente quella dell’incubo. Qui l’accostamento con la serie culto degli anni ’90 Twin Peaks, non è casuale. Morozzi lo cita nel romanzo, un locale di Bologna dove i protagonisti si recano ha proprio il nome di uno dei luoghi del telefilm, La loggia nera, e l’atmosfera surreale che aleggia nel romanzo deve molto al genio creativo di David Lynch.

Chi non muore è una storia che si lascia leggere con facilità e proprio con la stessa curiosità morbosa con cui si ascoltano le urban legends si arriva alla fine in un batti baleno. La dimensione da leggenda che pervade tutto il romanzo e che si mette in contrasto con la razionalità e realtà degli omicidi che sono accaduti instilla nel lettore un dubbio, credere o non credere a quello che ci viene raccontato?
Allora i lettori si divideranno, i razionali rimarranno delusi dalla svolta finale del romanzo e quelli che lasciano la porta aperta all’immaginazione avranno di che arrovellarsi il cervello, perché dopo tutto esiste il detto “chi non muore...”


VOTO DEL BLOG:

 Good Book. Libro gradevole, per una lettura spensierata.

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