Titolo: Avevano spento anche la luna Autrice: Ruta Sepetys
Casa editrice: Garzanti Pagine: 304
Prezzo: € 18,00
La trama:
Lina ha appena compiuto quindici anni quando scopre che basta una notte, una sola, per cambiare il corso di tutta una vita. Quando arrivano quegli uomini e la costringono ad abbandonare tutto. E a ricordarle chi è, chi era, le rimangono soltanto una camicia da notte, qualche disegno e la sua innocenza. È il 14 giugno del 1941 quando la polizia sovietica irrompe con violenza in casa sua, in Lituania. Lina, figlia del rettore dell’università, è sulla lista nera, insieme a molti altri scrittori, professori, dottori e alle loro famiglie. Sono colpevoli di un solo reato, quello di esistere. Verrà deportata. Insieme alla madre e al fratellino viene ammassata con centinaia di persone su un treno e inizia un viaggio senza ritorno tra le steppe russe. Settimane di fame e di sete. Fino all’arrivo in Siberia, in un campo di lavoro dove tutto è grigio, dove regna il buio, dove il freddo uccide, sussurrando. E dove non resta niente, se non la polvere della terra che i deportati sono costretti a scavare, giorno dopo giorno.Ma c’è qualcosa che non possono togliere a Lina. La sua dignità. La sua forza. La luce nei suoi occhi. E il suo coraggio. Quando non è costretta a lavorare, Lina disegna. Documenta tutto. Deve riuscire a far giungere i disegni al campo di prigionia del padre. È l’unico modo, se c’è, per salvarsi. Per gridare che sono ancora vivi. Lina si batte per la propria vita, decisa a non consegnare la sua paura alle guardie, giurando che, se riuscirà a sopravvivere, onererà per mezzo dell’arte e della scrittura la sua famiglia e le migliaia di famiglie sepolte in Siberia.
La mia recensione
Un romanzo di grande forza narrativa, una storia dolorosa raccontata con semplicità disarmante,
la sofferenza di un popolo che chiede di ricordare.
Avevano spento anche la
luna
è un urlo silenzioso che fa tremare le coscienze assopite.
È l’urlo strozzato del
popolo lituano, ma più in generale dei popoli baltici e di tutti coloro che
hanno sofferto per mano del regime di Stalin, che finalmente ha trovato il modo
di farsi ascoltare dal mondo intero.
Ruta Sepetys ci
racconta il traumatico sofferto e doloroso viaggio verso le oscure e fredde
terre siberiane compiuto da uomini, donne e bambini colpevoli solo della loro
umanità, della loro cultura e del loro coraggio. Una storia sepolta per anni
dalla neve e dalla ferocia di un regime dittatoriale, in un tempo in cui le
lingue si annodavano per la paura e la sopravvivenza era l’unica speranza che
era dato avere.
Il titolo originale del
romanzo, Between Shades of Gray (“Tra
sfumature di grigio”), porta l’attenzione del lettore sulla piatta linearità
del paesaggio siberiano che fa da sfondo a pressoché tutta quanta la
narrazione, un fondale sul quale spiccano i personaggi di una storia che si
impone con tutta la sua carica espressiva.
In qualità di americana
di origini lituane, la cui famiglia è sfuggita fortunosamente al massacro che
viene raccontato nel libro, Ruta Sepetys sente la necessità di dar voce a tutte
quelle storie che rischiavano di rimanere congelate sotto il gelido suolo
artico. Il rischio, però, nel narrare avvenimenti così tristi e pregni di una
verità angosciante è quello di salire in cattedra e puntare il dito, offrendo
al lettore facili quanto fugaci empatie. Non è questo il caso.
Lina, la sua famiglia,
Andrius e tutti gli altri personaggi che il lettore avrà modo di scoprire nel
corso del racconto, siano essi protagonisti o solamente comparse, portano
dentro di sé i volti veri reali e tangibili di tutti coloro che quella sorte
l’hanno subita saggiandone il dolore sulla propria pelle e non attraverso le
pagine di un libro. La forza di questo grido che sale da ognuno di loro, la
voglia di non chinare la testa davanti a una realtà che si fa beffe della vita,
la tenacia di un popolo orgoglioso che nella notte più nera cerca di trovare la
capacità di scorgere anche il più piccolo bagliore di luce sono gli elementi
che rendono Avevano spento anche la luna
un romanzo “necessario”.
C’è da interrogarsi sul
perché, ancora oggi, i racconti sulla terribile repressione compiuta per mano
di Stalin necessitino di un romanzo per raggiungere un vasto pubblico. Si stima
che più o meno venti milioni di persone siano state uccise dal braccio
d’acciaio sovietico, ma di loro poco si sa, poco si studia, poco se ne parla. Leggendo
questo romanzo, si ha così l’opportunità di rendere giustizia, almeno in parte,
a tutte quelle voci che si sono spente in mezzo alle tempeste di neve.
Lina, protagonista del
romanzo della Sepetys, ha solo sedici anni, figlia del rettore dell’università,
borghese agiata, promettente artista, si vede strappare di dosso tutto quello
che possiede e sbattuta su un treno viene stipata in carri merci insieme ad
altre persone neanche fossero i più spregevoli e sporchi animali. In una sola
notte le viene sottratto tutto, anche la sua dignità di persona. Le resta solo
la voglia di vivere ed è proprio quella l’unico appiglio a cui può aggrapparsi
la ragazza quando viene spenta anche la luna.
Intorno a Lina ruotano
una serie di personaggi che anche con brevi pennellate vengono resi in modo
marcato e preciso. Tutti hanno una funzione all’interno della storia che ne
rende necessaria la presenza, sia solo quella di mostrare la crudeltà del NKVD,
il Commissariato governativo sovietico (quello che poi sarebbe diventato il
KGB).
La narrazione scorre
con un ritmo sostenuto creato grazie a dei capitoli veloci e brevi che in poche
e semplici immagini riescono a delineare gli episodi della vita dei deportati raccontati
nel romanzo. A movimentare la storia e a stabilire il netto contrasto tra la
vita da prigionieri e la loro vita precedente la Sepetys in modo puntuale
inserisce nello svolgimento dei fatti delle istantanee, quasi fossero squarci
nel mare dei ricordi dei detenuti, che parlano di un mondo che nella gelida Siberia
non ha più modo di esistere.
Nel freddo l’odio può farsi
strada nei cuori della gente e corrompere tutto ciò che prima era puro e sano,
l’indifferenza può arrivare a imputridire gli animi e distorcere i volti già
segnati dalle intemperie, dalla fame e dalle malattie. È disarmante allora come
queste persone, con i loro difetti e le loro differenze che li caratterizzano,
riescano a stringersi come in un abbraccio e creare una famiglia che, con i
suoi elementi forti e i suoi elementi deboli, riesce a fronteggiare la morsa
del gelo e dei sovietici.
Tutte queste immagini
ci scorrono davanti come fotogrammi di un film muto, capace di raccontare un
dolore straziante proprio come i disegni che Lina tratteggia di nascosto
durante la sua prigionia. Ispirata dalla pittura pre-espressionista di Munch,
Lina fissa per sempre sui fogli la storia di un popolo e delle sue sofferenze
atroci, l’umiliazione subita e la voglia di ritornare a vivere non dimenticando
ciò che è stato.
La memoria, come per tutti i racconti di deportazione, diventa il perno dell’intera storia. I disegni nascosti di Lina, i racconti fatti sottovoce, le lacrime gelate di queste persone diventano testimonianza di un massacro voluto, pianificato. Solo decenni dopo la Lituania e le nazioni sotto U.R.S.S. hanno avuto la possibilità di dar voce a queste storie, rimaste sepolte per anni sotto la costante paura di nuove deportazioni. Ora è venuto il momento che i volti di Lina e dei suoi compagni diventino conosciuti ai più, portatori di un messaggio forte che Ruta Sepetys si è incaricata di trasmettere.
La storia raccontata in
Avevano spento anche la luna non ha
la stessa pregnanza dolorosa di Se questo
è un uomo di Primo Levi, forse semplicemente per il fatto che Ruta Sepetys
non ha vissuto sulla propria pelle la straziante esperienza della prigionia, eppure
con il suo romanzo la Sepetys è stata capace di toccare le corde più recondite
della coscienza umana e marchiare a fuoco le menti dei lettori con immagini, ricordando
a tutti che l’affronto più grande che si potrebbe fare alla memoria di queste persone
è dimenticare.
VOTO DEL BLOG:
Best Book Ever. Libro da leggere ad ogni costo.
anche io ho letto questo libro, ha suscitato in me molte emozioni, però non tante quante me ne hanno sucitate i libri di persone che hanno vissuto in 1 la persona la 2 guerra mondiale
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