mercoledì 21 settembre 2011

Speciale: Sono nel tuo sogno. Terza puntata

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Lo speciale è arrivato alla penultima puntata, l'interesse aumenta come il mistero che avvolge questa storia. 
Oggi avremo modo di gustare le prime pagine di questo attesissimo romanzo e di vedere alcune immagini della città dove la storia è ambientata, Amburgo. Insieme a tanta bella musica, ovviamente!
Domani, in vista dell'uscita del romanzo e la fine dello speciale ci sarà una bellissima sorpresa. Non mancate, vi aspetto!


DALLE PRIME PAGINE DI SONO NEL TUO SOGNO


Mercoledì sera apparteneva a noi, Janne, Spatz e me.
Trascorrevamo insieme questa serata fin da quando ero piccola e, a parte il periodo delle vacanze, sempre nello stesso luogo: a casa nostra nella Rainvilleterrasse 9 ad Amburgo. 
L’idea era nata a Saptz, la compagna di Janne. Poco dopo essersi trasferita a vivere con noi, Spatz istituì il mercoledì sera come ladies’ night in, creando persino una corona per l’occasione. Era una corona di plastica con strass colorati presa al reparto giocattoli del grande magazzino dove Spatz lavorava all’epoca.
Era stata sempre lei a fissare le regole delle nostre ladies’ nights; a turno, ciascuna di noi poteva portare la corona del mercoledì e decidere come trascorrere la serata. Uniche condizioni: doveva trattarsi di qualcosa da fare insieme e non doveva costare niente.
Avevo quattro anni quando celebrammo la nostra prima ladies’ night e fui anche la prima a essere incoronata. Mi sentivo davvero una regina e nominai Spatz e Janne mie dame di corte. Janne dovette preparare il mio piatto preferito, crêpes con salsa di cioccolato caòda, mentre a Spatz ordinai di disegnare animali fiabeschi, draghi, unicorni e grifoni che poi colorammo insieme.
A un certo punto la corona andò persa, oppure non fu più utilizzata. Ma la ladies’ night rimase e con gli anni si trasformò in un rito al quale rinunciavamo solo per motivi di assoluta necessità. 
Ormai avevo sedici anni e quel mercoledì toccava a mia madre Janne decidere come trascorrere la ladies’ night. Il motto della serata era: buttar via. 
Dapprima io e Spatz avevamo sbuffato, quando Janne aveva aperto l’enorme armadio in soffitta, ma mia madre si era toccata la corona immaginaria e aveva annunciato: «Sbarazzarsi di un po’ di passato non fa mai male. Quindi, niente obiezioni, ladies! Al lavoro». 
Era autunno e fuori imperversava un violento temporale. La pioggia tamburellava sui vetri con le sue dita gelate, ma lì in soffitta faceva caldo e si stava proprio bene. Janne aveva acceso delle candele, dallo stereo uscivano le note della Sonata al chiaro di luna di Beethoven, il compositore preferito di Janne, e dalla cucina saliva fino a noi il profumo di strudel di mele che cuoceva nel forno.
La soffitta occupava la metà superiore del nostro appartamento ed era raggiungibile dal piano di sotto per mezzo di una ripida scala a chiocciola. Era stato mio padre a suo tempo a levigare le vecchie assi del pavimento. 
Eravamo molto affezionate a questo ambiente. Era la nostra stanza di famiglia, il soggiorno ufficiale lo utilizzavamo solo quando avevamo ospiti. Qua sopra c’era qualcosa di ognuna di noi. Io avevo desiderato il grande divano letto pieno di cuscini dove avevamo trascorso innumerevoli mercoledì sera a guardare i nostri film preferiti. Il tiglio africano che oramai aveva raggiunto il soffitto era stato comprato da Janne in occasione della mia nascita, ed era sempre lei che tutte le settimane sostituiva i fiori nel grande vaso di vetro davanti alla finestra. A Spatz appartenevano il vecchio giradischi e lo scaffale con l’enorme collezione di dischi. I mobili, in gran parte provenienti dai mercatini delle pulci, erano stati scelti da Janne e Spatz insieme; Janne contrattava il prezzo e Spatz si occupava del successivo restauro. 
L’unico pezzo ereditato era lo scrittoio della mia bisnonna Moma, sul quale in passato la mamma scriveva le sue peripezie. 
Accanto allo scrittoio c’era una gabbia per uccelli appesa a una pesante catena d’ottone. Era la casa di John Boy e Jim Bob. La pesante catena d’ottone. Era la casa di John Boy e Jim Bob. La mamma aveva ricevuto la coppia di pappagallini in dono da un suo cliente. Ormai erano due anziani signori di tredici anni e Janne si prendeva amorevolmente cura di loro. Spatz, invece, odiava vedere gli animali chiusi in gabbia. Per questo aveva soprannominato i nostri uccellini i galeotti, e tutte le volte che pronunciava questo nome si guadagnava un’occhiata collerica della mamma. 
Jim Bob teneva il becco nascosto sotto l’ala con le piume arruffate e John Boy ci guardava incuriosito mentre, inginocchiate davanti la montagna di roba vecchia, litigavamo su che cosa buttare o, meglio, cosa conservare. 
« No! » urlò Spatz. Con un balzo felino cercò di strappare di mano a Janne un nanetto di gomma sorridente con un berretto azzurro che la mamma stava giusto gettando nello scatolone con la scritta GOODBYE LADIES. 
« Perché no? » lo sguardo perplesso di Janne passò da Spatz al nanetto. 
« Perché Anton-mai-sazio era la gioia della mia infanzia» rispose indignata Spatz. « Dovrai passare sul mio cadavere prima che lui finisca al mercatino delle pulci. » Afferrò Janne per il polso e cominciò a farle il solletico, finché mia madre capitolò tra le risate e lasciò cadere a terra il nanetto di plastica. 
« Vieni da me, Anton.» Spatz lo raccolse e lo abbracciò protettiva. «Andiamo via da questa regina del mercoledì senza cuore. Da oggi... » sorrise al nanetto « … troneggerai sopra il televisore. » 
« Sul televisore? Che cosa c’entra quel coso sul televisore? » domandai perplessa. 
« Quel coso? » Spatz si soffiò via un fiocco di polvere dal naso e mi fulminò con lo sguardo, come se mi fossi appena trasformata in un nanetto di gomma, di quelli cattivi. « Ciò che tua madre voleva vendere al mercatino delle pulci non è un coso, ma una pietra miliare della storia televisiva tedesca!» 
Mi agitò il nanetto davanti al naso. « Posso presentartelo? » domandò, facendo ondeggiare avanti e indietro la testa del pupazzo. « Rebecca, questo è Anton-mai-sazio, star della pubblicità televisiva tedesca degli anni Settenta. Anton, ti presento Rebecca la figlia di Janne e mia figlioccia. Di’ buona sera. » 
« Buonaseeeeeera » squittì il pupazzo di gomma con la voce contraffatta di Spatz, facendomi scoppiare a ridere. 
 Janne si scostò una ciocca di capelli biondi dalla fronte e sospirò. Le rimase una striscia di sporco sul viso che non le si addiceva per niente. La mia bella mamma con il fisico da atleta poteva svegliarsi alle tre di mattina dal sonno più profondo e avere già un aspetto impeccabile. 
« E va bene. Anton può restare, a patto che i suoi compagni non siano in agguato nascosti da qualche parte» disse chinandosi di nuovo sullo scatolone. « E questo cos’è? » 
Janne afferrò una trombetta di plastica rossa e io strillai: « Oh, me l’aveva regalata papà, non ricordi? Dopo la festa in giardino, quando Sören mi aveva vomitato la salciccia alla brace sul vestito. Puzzavo come un maiale e mi vergognavo da morire e la sera papà per consolarmi mi portò la trombetta. Volete che vi suoni qualcosa? »
« Pepperepè » fece Spatz ammiccando. 
« Ragazze, così non finiremo mai » brontolò Janne. « Il motto della serata non è giocare, ma buttar via. Allora, la buttiamo o no? » 
« No. » Misi da parte la trombetta e aprii il grande scatolone dei libri. Ripescai alcuni vecchi volumi illustrati finiti in mezzo ai testi di studio di Janne, i volume d’arte di Spatz e qualche libri di cucina impataccato. 
 Mi madre mi scivolò accanto entusiasta e aprì “Nel paese dei mostri selvaggi” di Maurice Sendak. « Era in tuo libro preferito » disse. « Avevi una gran paura dei mostri che andavano a trovare Max in sogno. Però volevi farti sempre leggere la storia. » Janne mi sorrise. « Chiudevi gli occhi e con la fantasia partivi a bordo della barca a vela insieme a Max. Io dovevo impersonare i mostri selvaggi. Volevi sentire i loro versi spaventosi e vedere i loro denti spaventosi, i loro occhi spaventosi e i loro artigli spaventosi – finché Max diceva state buoni e li domava con un incantesimo. Te ne ricordi, lupacchiotta? Conoscevi il testo a memoria. » 
Posai la testa sulla spalla di Janne e guardai la barca dov’era seduto il piccolo Max con la sua pelliccia da lupo. La carta era ingiallita e sprigionava quell’indefinibile odore di libri vecchi. 
« Sì, me ne ricordo » risposi gettendo un’occhiata a Spatz. « E tu mi hai fatto un disegno della barca a vela. A bordo però non c’era Max, ma Rebecca. » 
Andò avanti così. Ogni oggetto che tiravamo fuori dallo scatolone aveva una storia. Ecco il grembiule assassino con la pettorina rossa che la nonna mi aveva portato da Monaco per il mio primo giorno di scuola. Proprio sopra la spallina a sinistra c’era rimasta una spilla da balia dimenticata. La prima e unica volta che indossai quello stupido grembiule, la spilla si aprì e mi si conficcò nella spalla mentre ero in cortile e venivo spinta per gioco. 
Ecco il gatto portafortuna di plastica dorata, un regale che Spatz aveva portato a Janne dall’Asia. Quello stesso giorno Janne aveva comprato un gratta-e-vinci e aveva vinto 30 euro. « Vi ricordate? Siamo andate al luna park con Rebecca e ci siamo perse nella casa degli specchi... » 
E poi c’era Sharky, il mio vecchio materassino gonfiabile. Me l’aveva regalato Spatz quando avevo quattro anni e non sapevo ancora nuotare. Aveva una testa da squalo con le fauci spalancate ed enormi denti di plastica. Una volta in piscina avevo rischiato di far venire un infarto a una vecchietta quando mi ero avvicinata a lei con Sharky. 
Un mio scatolone – sul quale Spatz aveva disegnato un teschio – erano raccolti i regali di Natale di sua madre, in un altro conservava i suoi insettari. Tirai fuori quello più in alto e ne osservai il contenuto. Il qualcosa imprigionato sotto vetro era uno dei primi oggetti d’arte di Spatz: un medusoide realizzato all’uncinetto con filato di cotone rosa e verde. 
Andavo in seconda quando Spatz aveva cominciato a lavorare a questa serie. L’aveva chiamata La rete del pescatore e per mesi aveva continuato a realizzare all’uncinetto anemoni di mare, coralli e meduse che io poi avevo il permesso di collocare nei contenitori da insetti di forma cubica chiusi da un coperchio trasparente. Intanto Spatz aveva aperto uno scatolone con la scritta CARABATTOLE. Mise da parte uno specchio portatile d’argento e una dentiera da vampiro rosa, poi tirò fuori una foto incorniciata. «Guardate, la sirenetta della California» disse sorridendo mentre mi porgeva la cornice. 
Nella foto c’ero io a cinque anni. Due mani sorreggevano il mio corpo allungato sopra la superficie di un lago. Tenevo le braccia spalancate come in volo e avevo l’espressione raggiante. 
« Eravamo su Lake Nacimiento » disse Janne con voce intenerita. Mi prese di mano la foto e tolse la polvere dal vetro. « Quell’estate imparasti a nuotare. Ti piaceva farti lanciare iin aria da papà per tuffarti in acqua dalle sue braccia. » 
Guardai il mio viso sorridente di bambina e mi venne in mente quello che era stato il mio unico viaggio nella nuova casa di papà. Me ne ricordavo ancora sebbene vagamente. Avevo chiamato quel lago lago dei draghi. « Allora? » diedi una gomitata alla mamma e indicai la foto. « Vuoi vendere anche me al mercato delle pulci? » 
« No, questo pezzetto di passato resterà con noi » rispose Janne decisa posando la foto da una parte. 
Un trillo stridulo riecheggiò dalla cucina. 
« Din-don » esclamò Spatz. « Comunicazione importante: il piccolo strudel vorrebbe che la sua mammina lo togliesse dal paradiso di cottura. » Rivolse un’occhiata innocente a Janne. Io scoppiai a ridere, ma la risata di Spatz travolse la mia. La compagna di mia madre era bassa e molto magra, aveva capelli corti color topo e sempre arruffati e grandi occhi castano dorati. Solo la sua risata contraddiceva del tutto il suo aspetto. Sghignazzava come un sacco pieno di barattoli di latta vuoti lanciati giù per le scale di una cantina e, volenti o nolenti, era contagiosa. 
« D’accordo, allora la cara mammina andrà da lui » disse Janne alla fine. Si spazzolò la polvere dai jeans e lanciò un’occhiata al finimondo che avevamo sparso intorno a noi nell’ultima ora. 
Spatz aveva bisogno del suo caos personale, soprattutto nel suo studio. Occupazioni come la dichiarazione dei redditi o l’uso di un computer la distruggevano, mentre Janne era l’assoluto talento organizzativo e non si scomponeva mai. 
Tranne per il disordine in casa. Cose lasciate in giro, stoviglie non lavate o il piano di un tavolo cosparso di briciole in cucina trasformavano la mia controllatissima mamma in un fasci di nervi. 
« Niente panico » dissi riconoscendo l’espressione sgomenta che si era affacciata sul suo viso. « Se tu vai a prendere lo strudel, noi poi riordineremo tutto. Promesso! » 
Janne annuì riconoscente e si aprì un varco tra gli scatoloni. 
Poco più tardi tornò di sopra con un vassoio. 
« Buon appetito, ladies » annunciò distribuendo i piatti sul grande tavolo di bambù. « Ma poi non ci sono più scuse. Faremo pulizia in questo mucchio di cianfrusaglie come è vero che mi chiamo Janne Wolff. » Agitò il coltello in aria. « Entro un’ora lo scatolone per il mercatino delle pulci sarà pieno! » 
Ci finimmo tutto lo strudel di mele con la crema di vaniglia, ovvero io ne mangiai la metà e lascia il resto a Janne e Spatz. Poi incoronammo Janne regina dello strudel della ladies’ night e infine fallimmo miseramente nell’impresa di buttar via. 
 Mentre nello scatolone per il mercato delle pulci si accumulava un modesto mucchietto di testi specialistici di Janne, giochi da tavolo e CD, la montagna degli oggetti da conservare continuava a crescere. 
Spatz accatastò beata la sua vecchia collezione di videocassette di film di Godard e Hitchcock ( «Dobbiamo assolutamente comprare un video registratore prima che sia troppo tardi»), io impilai i vecchi libri illustrati sotto il sedere come sgabello e, mentre Janne tirava fuori qualcosa di piccolo e bianco dall’ultimo scatolone, io all’improvviso ebbi una strana percezione. Provai una specie di minuscolo strappo dentro di me. Fu quasi impercettibile, come se qualcuno mi avesse strappatp con le pinzette un pelo cresciuto verso l’interno. Un attimo e passò. Ciò che rimase fu un bizzarro senso di vuoto che non riuscivo a capire. Lo imputai all’ora tarda – ormai era passata mezzanotte – e lo spacciai mentre Janne mi posava sulle ginocchia un piccolo orsacchiotto. 
« Questo è stato il tuo primissimo regalo di compleanno » disse. Era di lana di pecora, malconcio e poco più grande della mano di Janne. Gli occhi erano cerchi di feltro marrone scuro, il naso una pallina di stoffa e aveva una guancia impiastricciata di cioccolato. 
« Sicuramente non te lo puoi ricordare » proseguì Janne. « Te lo aveva regalato Moma quando ti riportammo a casa appena nata. Doveva vegliare sui tuoi sogni, ma tu non lo lasciavi mai, neppure di giorno. Te lo portavi dietro dappertutto e, una volta che lo lasciammo al ristorante greco piangesti così a lungo che mi toccò telefonare a Herr Papatrekas nel cuore della notte chiedendogli di mandarci l’orsacchiotto con il taxi. Gli avevi persino dato un nome. Aspetta, come si chiamava... Li... La... ? » Janne corrugò la fronte. 
« Lu » mormorai. Non avevo idea di come mi fosse venuto in mente quel nome. Non mi ricordavo affatto di quell’orsacchiotto. 
Un fruscio gracchiante si levò dalla gabbia. Era John Boy che becchettava il suo osso di seppia. Osservai il pappagallino verde senza vederlo davvero e, mentre batteva le ali, all’improvviso sussultai. 
« Ehi. » Janne mi guardò preoccupata. « Sei pallida. Tutto ok, lupacchiotta? » 
Io feci cenno di sì, ma non era vero. Di colpo mi sentivo sfinita. 
« Penso che andrò a letto » mormorai. « Domattina alla prima ora c’è inglese. » 
Spatz mi gettò un’occhiata compassionevole. « Allora riferisci al tuo Mister Tyger che, la prossima volta che se la prenderà con te, andrò a parlarci e gliene canterò quattro con la tua vecchia trombetta. » 
« Ottima idea » concordò Janne. « Avremmo dovuto farlo già da parecchio. » 
Il mio professore di inglese non era uno dei nostri personaggi preferiti. Janne e Spatz non sopportavano che qualcuno mi rendesse la vita impossibile, soprattutto senza motivo. 
Mi alzai faticosamente da terra e diedi un’occhiata colpevole a Janne. « Posso... lasciare qui la mia roba fino a domani? » 
Era una domanda retorica. Sapevo benissimo che l’indomani non ci sarebbe stata più traccia della nostra attività serale. Qualunque ora si fosse fatta, a qualunque ora dovesse alzarsi l’indomani, Janne non sarebbe mai andata a letto senza aver risistemato tutto e, se noi non eseguivamo la nostra parte di lavori domestici, mia madre poteva diventare davvero impossibile. Oggi invece mi sorprese. 
« Ci penso io » disse. « Ti metterò tutto quando davanti alla porta, ok? » 
« Grazie. » Diedi una bacio a Janne e rivolsi un cenno a Spatz che era tornata ad esaminare le sue videocassette. Ne teneva in mano una intitolata Orfeo negro. « Un bellissimo film » mormorò. « Dovremmo proprio comprarci un video registratore. Le videocassette sono così romantiche. » 
« Notte, Spatz » dissi. Mi voltai verso la gabbia. Nel frattempo anche John Boy aveva infilato il becco sotto l’ala, aveva gonfiato le morbide penne e respirava con un ritmo che cullava. « Buona notte, John Boy. Buona notte, Jim Bob. » 
Spatz mi fece un cenno distratto e Janne mi sorrise. 
 « Buona notte, tesoro. Sogni d’oro. » 
Mentre mi spogliavo in camera mia, mi resi conto di stringere ancora in mano il piccolo orsacchiotto. Me lo portai a letto e spensi la luce.






Che ve ne pare di questo inizio? Quali sono le vostre impressioni?
Il romanzo inizia con una bella scena di affetti famigliari, Janne e Spatz mi piacciono molto, mentre Rebecca e il suo orsacchiotto Lu sono davvero misteriosi. Che legame ci sarà tra lei e quel semplice pupazzo di pezza?

Come avrete avuto modo di leggere la storia è ambientata ad Amburgo, in Germania. Ecco per voi alcune foto di questa splendida città.

         


          

Queste, invece, sono alcune immagini della strada dove abita Rebecca con la sua famiglia.


          



E dopo questa immersione nel mondo di Sono nel tuo sogno, ecco le canzoni di oggi. Buon ascolto!


MUSE - New born




SLUT - Folling down




AUDIOSLAVE - Like a stone



DEATH CAB FOR CUTIE - I will follow you into the dark

3 commenti:

  1. Lu = Lucian..credo!
    Veramente curioso! Non vedo l'ora di poterlo leggere ^^

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  2. La scena familiare è carina e scorrevole e ci permette di scoprire l'input che dà inizio alla svolta nella vita di Rebecca dato che l'orsacchiotto è sicuramente collegato a Lucian.
    Come brano propongo "My immortal" degli Evanescence. So che è una canzone stra-usata in rete, ma secondo me si adatta bene al romanzo :-)

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  3. La scena familiare ci mostra qual è la vita di Rebecca fino a quel momento: tranquilla, felice e serena. Ma è ovvio che poi tutto verrà sconvolto, il libro è davvero bello *.*
    Non mancate, oggi c'è la sorpresa!!!

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