mercoledì 13 aprile 2011

Speciale Il linguaggio segreto dei fiori - Ogni fiore ha la sua storia

Generated image

L'ISPIRAZIONE è delicata e allo stesso tempo resistente, proprio come un fiore di campo: l'angelica.

IL FOTOGRAFO

«Sono di nuovo in ritardo, cazzo!» esclamo con rabbia mentre cerco di allacciare la cintura di sicurezza. Quella bastarda, come al solito, non ne vuole sapere di allacciarsi. «Se arrivo tardi all’incontro, Beatrice mi ammazza» urlo nell’auto vuota, muovendomi come un pazzo furioso.
Accendo il motore della mia Golf scassata e faccio retromarcia senza guardare dallo specchietto retrovisore. Spero di non sentire la botta.
L’auto sfreccia nervosa tra le vie della città, il suo animo sensibile percepisce lo stato di agitazione che mi attraversa. Finalmente arrivo in prossimità dello studio fotografico Baraldi & Malengo, la porta in vetro opaco è aperta. Beatrice è già arrivata. Mi scaravento fuori dalla macchina, incespicando sui miei stessi piedi.
Nell’ufficio ci sono tutti: Beatrice, con la sua solita faccia tirata e acida come una spremuta di limone; Piero, sguardo a terra per cercare di essere invisibile; Eva. Per descrivere Eva non si posso usare parole, il suo corpo parla da solo. Dio, quanto la desidero!
«Ruggero, ti voglio nel mio ufficio. Adesso». La voce stridula di Beatrice mi riposta coi piedi per terra. Basta fantasticare su Eva, basta.
La seguo controvoglia, nauseato dalla quantità abnorme di profumo scadente che emana la sua scia. Chiudo la porta dietro di me e mi siedo sulla poltrona di pelle consumata.
«Così non può andare, Rosso» sentenzia con fare da diva. Sa quanto odio che mi chiami con il colore dei miei capelli. «Ultimamente le tue foto non vendono e noi non stiamo qui a farti la carità. O trovi il modo di risolvere questa situazione o mi vedi costretta ad affidare il lavoro ad un altro». Quest’ultima parte della frase la 
pronuncia con un tono che vuol fingersi materno, ma sulla sua bocca suona come una terribile distorsione 
elettrica.
«Prenditi un giorno di pausa, fai altro e vedi se ti ritorna l’ispirazione» conclude con fare perentorio. In tutta la discussione non ho mai aperto bocca, ma con Beatrice è impossibile fare diversamente, crede di essere l’unica fonte che dispensa sapere.
Sono arrabbiato, ma cerco di non darlo a vedere. Non voglio alimentare i pettegolezzi che di lì a quando sarò uscito dallo studio fotografico inizieranno a turbinare in quel locale. Maledetta, ha trovato il modo per allontanarmi dal progetto!
Ritorno in macchina e sbatto lo sportello per sfogare l’amarezza. In un attimo sono già in moto, non so dove sto andando, ma vado. Mi lascio guidare dalla collera che mi pulsa dentro, sento l’estremo bisogno di lavare via la mente dalla cattiveria e dalla malsana ambizione che albergano nella città. Lo squallore del cemento ha prosciugato la mia creatività; forse ha ragione quell’antipatica di Beatrice, devo rigenerarmi.
Parcheggio la Golf ai bordi di un prato lungo la stradina sterrata in cui mi sono inoltrato. Non so bene quanti chilometri ho fatto, ma intorno a me c’è solo verde ed è questo l’importante. Mi inoltro tra l’erba alta 
spruzzata qua e là del colore rosso vivo dei papaveri. La loro vista mi dà un senso di serenità insperato. Più avanzo e più mi sembra che la natura mi inghiottisca nel suo ventre caldo. È straordinario come riesca a percepire la vita che mi ronza intorno, è come quando la lingua inizia di nuovo a percepire i sapori dopo un lungo periodo di malattia.
Poco lontano scorgo un albero e la mia attenzione viene catturata dall’indolente oscillare di una coda che sembra seguire la cadenza di una musica segreta. Appartiene ad uno dei più bei esemplari di cavallo mai visti. È sicuramente un frisone, lo capisco dal suo lucente manto nero e dagli zoccoli ricoperti di pelo. Sembra una creatura sbucata fuori da quei libri di fiabe che ti leggono da bambino. La sua eleganza è disarmante. Con la coda dell’occhio guarda verso la piccola creatura sgraziata che è apparsa all’improvviso nel suo campo visivo.
Ringraziando mentalmente i numi del cielo per avermi fatto portare con me la macchina fotografica, cerco di muovermi in modo cauto e misurato per non spaventarlo. Estraggo la macchina dalla custodia e la punto nella sua direzione. L’occhio guarda rapido nell’obbiettivo, una messa a fuoco e scatto la foto. Mi sento un po’ in colpa per il momento rubato, quasi avessi violato l’intimità di quel magnifico animale, ma dentro me ora palpita il desiderio bruciante di ammirare quello scatto, la resa di quell’attimo fugace e transitorio.
Corro a casa con l’auto che è diventata rovente sotto il sole, abbasso tutti e due i finestrini per far circolare l’aria e mi godo la sensazione di freschezza che mi scorre sulle guance. Sono galvanizzato da quella improvvisa apparizione e la mia anima d’artista brulica sotto gli strati di grigiore che la triste vita cittadina mi ha depositato addosso.
Schiavo la porta del mio appartamento e mi dirigo a grandi falcate verso il ripostiglio che ho adibito a camera oscura. Voglio vedere l’immagine catturata quella mattina prendere vita sulla carta sensibile. Nel buio della stanza eseguo i vari procedimenti con la padronanza che ormai ho acquisito da tempo e compio i movimenti con cura meticolosa. Niente deve andare storto. Al momento di immergere il foglio nella bacinella dello sviluppo sento le mani fremere d’impazienza; i due o tre minuti necessari a far apparire l’immagine sembrano eterni. Riesco ad intravedere i colori sul foglio bianco, ma è ancora troppo presto. Passo la carta nel bagno d’arresto e poi nel fissaggio, infine la appendo delicatamente con due pinze al filo metallico che attraversa il 
piccolo sgabuzzino. Trattenendo il respiro, accendo la luce.
Il muso di un cavallo dal mantello scuro mi fissa impavido, i contorni della sua figura si distendono lungo linee armoniose e piene a renderlo maestoso. Il frisone sembra essere sul punto di scattare, i muscoli tesi a descriverne la potenza; la criniera scompigliata si distribuisce morbida sul collo possente e lo zoccolo della zampa anteriore pesta duro sul terreno. Intorno, solo il verde acceso dell’erba reso brillante dal pelo nero della bestia e il leggero colore dei fiori di campo che si perde nell’immensità dell’immagine.
Guardo la foto e resto in silenzio. Solo una parola: perfetto.      

2 commenti:

  1. Bello. Questo mi piacerebbe inserito in un romanzo, non ha l'aria di un semplice racconto ma sembra far capire che c'è qualcosa prima e qualcosa dopo... insomma non lo abbandonare!!!
    (poi quando li metterai tutti insieme e li pubblicherai me ne manderai una copia da farmi recensire???) ;)

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  2. Sì, questo sembra più un estratto che un racconto.
    Se mai li pubblicassi, la copia per te Sonia è assicurata! :D

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