domenica 17 aprile 2011

Speciale Il linguaggio segreto dei fiori - Ogni fiore ha la sua storia

Generated image

Oggi la storia arriva a fine giornata e con l'augurio di una buona notte vi lascio con il delicato fiore dell'achillea millefoglie, che ha un grande potere: la CURA PER UN CUORE SPEZZATO.


LA TORTA DI NONNA ADELE


Corse a perdifiato lungo la strada in discesa che conduceva a casa della nonna. Era un’angusta viuzza che si snodava tortuosa tra le vecchie case del quartiere. Se uno non era pratico avrebbe finito coll’andare a sbattere contro qualche muscoso muro. Marta aveva gli occhi gonfi per il pianto che ancora le rendeva il respiro irregolare. Arrivata davanti al portone verde, scrostato dal tempo, premette con violenza il dito contro il campanello che emise un suono prolungato quasi fosse una voce metallica che chiedeva aiuto.
In un certo senso era così; Marta era giunta fin lì perché aveva un estremo bisogno di essere aiutata e solo la nonna poteva riuscire nell’arduo compito di mettere ordine tra i sentimenti della nipote e riportare un po’ di pace in quell’anima inquieta.
Marta aveva il cuore a pezzi, ferita a morte da una lancia che l’aveva colpita a tradimento. Nei suoi diciannove anni c’era tutta la forza di una vita ancora da costruire, ma ora lei si sentiva spaesata, persa. Tutte prima o poi hanno fatto l’esperienza di essere lasciate dal ragazzo dei propri sogni e Marta aveva scoperto da poco cosa significava versare lacrime in ogni momento della giornata ripensando ai momenti passati insieme a quella persona che ritenevi speciale. Ora capiva cosa volesse dire non riuscire a dormire la notte per il rumore che fanno i pensieri che si rigirano nella mente. Le amiche cercavano di consolarla come potevano, ma Marta sembrava afflitta da un dolore lancinante che non ne voleva sapere di diminuire. E così si era decisa ad andare dalla nonna; lei avrebbe trovato la cura.
L’anziana signora che le andò ad aprire la porta aveva una cascata di morbidi capelli bianco panna e una deliziosa faccetta rotonda, mentre due vispi occhi azzurri osservavano il volto della nipote arrossato dalla corsa e dal pianto. Spalancò le braccia e accolse Marta in una stretta affettuosa. Non c’erano bisogno di spiegazioni, la nonna sapeva già tutto, le era bastato guardare in faccia la ragazza per leggerne i segni della prima delusione d’amore.
«Seguimi in cucina» le disse con voce rotonda. «Speravo che qualcuno mi venisse a dare una mano».
Marta la seguì ubbidiente verso la piccola stanza gialla. Un odore dolce l’avvolse appena entrò, la nonna stava preparando una torta.
«Allora, cara, saresti così gentile da aiutarmi a preparare l’impasto?».
Annuì. La nonna era solita fare domande di cui conosceva già la risposta; diceva che era sempre buona educazione chiedere.
«Ho amalgamato tutti gli ingredienti, ma mi serve che mescoli l’impasto velocemente. Le mie vecchie braccia si stancano subito, le tue invece sono forti» disse sedendosi sulla sedia impagliata che stava vicino alla finestra. «Intanto io preparo il ripieno».
Marta iniziò a mescolare con forza la massa di farina zucchero e uova che si trovava nel recipiente rosso; più mescolava più sentiva la sua rabbia e il suo dolore svanire ogni volta che premeva con la mano sull’impasto. Senza che lei fosse riuscita a dire mezza parola, la nonna aveva già trovato il rimedio per il suo cuore dolorante. A volte pensava che la nonna potesse essere una specie di strega capace di leggere nella mente delle persone e indovinare per ciascuna di loro quale fosse l’antidoto giusto per annullare l’effetto del veleno che li stava torturando.
«Carlo mi ha lasciato» disse Marta e lo disse sussurrando quasi fosse una forma di autoipnosi.
«Lo so, cara, lo so» rispose la nonna senza alzare gli occhi dalla bacinella dove stava pelando i fichi. «Capisco che ora stai male, che vorresti urlare, piangere e pestare i piedi. Ma a che servirebbe tutto questo?». Ci fu un attimo di silenzio, poi proseguì. «Mi ricordo quando tua madre venne lasciata per la prima volta. Quanti pianti, quanti digiuni, quante notti insonni. Si chiudeva in camera sua e passava le ore ad ascoltare le più tristi canzoni d’amore; diceva che la sua vita era finita, che non avrebbe più trovato nessuno come lui, che non avrebbe più amato nessuno come lui e poi...e poi arrivò tuo padre» concluse con fare teatrale. La nonna sapeva raccontare le storie con una maestria d’attrice mancata.
Marta ascoltava attenta e aveva smesso di impastare. Uno sguardo accigliato della nonna le rimise in moto i muscoli. Il dolore per la storia finita con Carlo era ancora lì, in un angolo del suo cuore, ma ora stava cercando disperatamente di farlo scomparire dentro la palla di pasta frolla che si rigirava nelle mani.
«Adesso puoi smettere di impastare, tesoro. Piuttosto prendi l’altra massa di pasta frolla che sta in frigo e inizia a stenderla nella teglia che trovi nel secondo ripiano sotto la credenza». Marta fece come le era stato ordinato e con le dita iniziò a spianare il composto appiccicoso. Se occupata in qualche azione la sua mente riusciva a sgombrarsi dalle nubi plumbee che si erano addensate il giorno in cui Carlo aveva deciso che non l’amava più. Nella loro storia aveva fatto tutto lui: l’aveva corteggiata per mesi, le aveva chiesto di uscire, l’aveva baciata, l’aveva presentata ai suoi amici come la sua ragazza e ora, dopo un anno, l’aveva mollata.
La nonna le si avvicinò con la bacinella piena di fichi.
«È tempo di mettere il ripieno» disse. «Ma prima che questi fichi diventino tanti piccoli pezzetti e compaiano dentro l’avvolgente pasta frolla, voglio mostrarti una cosa». Prese il fico più grande e lo mise sopra il tagliere.
«Che forma ti ricorda, Marta?».
«Non saprei, non mi ricorda niente in particolare» rispose un po’ confusa.
La nonna prese un coltello e taglio il morbido frutto perfettamente a metà. «Adesso?».
Le due parti del fico erano disposte in modo tale da mostrare la polpa rossa. Ora era chiaro.
«Un cuore» affermò Marta convinta.
«Esattamente, un cuore» proseguì la nonna. «Adesso prendine una metà e mangiala».
Marta sempre più confusa guardò la nonna con fare interrogativo.
«Su, mangiala e poi dimmi che sapore ha».
Senza capirne il motivo Marta ubbidì. Mise in bocca il fico e masticò lentamente per sentire sulla lingua tutto il gusto. Quando finalmente ingoiò, si fermò un attimo a pensare e poi rispose. «Credo che il suo sapore fosse dolce, ma...» richiuse la bocca per assaporare di nuovo il frutto che aveva appena mangiato. «Il suo retrogusto era anche un po’ amaro».
La nonna la guardò negli occhi e gli angoli della bocca le si inarcarono in un sorriso.
«Ecco perché i fichi hanno la forma di un cuore; hanno la forma di un cuore perché sono in parte dolci e in parte amari. Questo, tesoro, è il sapore dell’amore, il sapore della vita».




P.S.= Il rifermento ai fichi e il significato che ne viene dato è tratto da un telefilm giapponese che ho amato molto, Hana yori dango. Ci tenevo a precisare.

4 commenti:

  1. Che bello questo racconto, un concentrato di calore umano profumato di dolci. Chi non vorrebbe avere una nonna così!
    Ciao
    Lucilla

    RispondiElimina
  2. Sono contenta che il racconto ti piaccia! Una nonna così credo sia il sogno di tutti: tenera, comprensiva, saggia.

    RispondiElimina
  3. Una storia che porta dei ricordi. forse non avevo una nonna così, ma quel che ha provato Marta l'ho provato e lo ricordo perfettamente e una nonna così sarebbe servita...
    eppure questi ricordi dovrebbero essere dolorosi, invece leggere il tuo racconto mi ha messo addosso nostaglia...

    RispondiElimina
  4. Ho scritto questo racconto con addosso la nostalgia per mia nonna, evidentemente il sentimento che avevo dentro quando l'ho scritta era così forte che si è tramutato in immagini e parole.

    RispondiElimina

Ti potrebbe interessare anche:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...